Scoperta di Università e Politecnico in campo oncologico: il termomagnetismo può supportare la lotta contro il cancro

A differenza delle cure tradizionali non è somministrato un farmaco che la cellula tumorale può eliminare. Questo approccio potrebbe essere usato in combinazione con le tradizionali terapie anticancro

 

 

La prestigiosa rivista scientifica internazionala Biochimica et Biophysica Acta - Molecular Cell Research ha pubblicato un importante studio, condotto in collaborazione tra  l’Università di Torino e il Politecnico di Torino, sull’utilizzo degli effetti termomagnetici su biosistemi per combattere il cancro.

 

La recente pubblicazione è il frutto di alcuni anni di ricerche volti a indagare l’effetto dei campi elettromagnetici a bassissima frequenza e intensità sulla crescita e sul metabolismo delle cellule umane, con un particolare interesse alle applicazioni in campo oncologico. Lo studio è stato condotto in collaborazione tra PoliTo (Dipartimento di Energia “Galileo Ferraris” sede di Torino per la modellizzazione termofisica e sede di Alessandria per la calibrazione del setup sperimentale) e UniTo (Dipartimento di Oncologia e Dipartimento di Scienze Mediche).

 

Grazie alle competenze multidisciplinari di questo team al Politecnico è stato progettato e realizzato un apparato con il quale è possibile irradiare le colture cellulari tumorali con onde elettromagnetiche a bassissime frequenze e generare effetti termomagnetici per rallentarne la proliferazione. Questo approccio è innovativo perché, a partire da una analisi termofisica del sistema cellulare, è in grado di calcolare la frequenza della radiazione che può agire sulla cellula tumorale, quindi propone un trattamento specifico, indipendente dal difetto molecolare che ha causato il cancro, virtualmente efficace su qualunque tipo di tumore, e innocuo per le cellule non tumorali.

 

Lo studio è stato ideato e diretto congiuntamente dalla Prof.ssa Francesca Silvagno (UniTo) per la parte biochimica e dal Prof. Umberto Lucia (PoliTo) per gli studi fisico teorici e applicati, e supportato dalle competenze mediche del Prof.Antonio Ponzetto (UniTo) e del Prof. Ezio Ghigo (UniTo), in collaborazione con la Prof.ssa Riccarda Granata (UniTo), e dalle competenze di gestione dell'innovazione del Prof. Emilio Paolucci (PoliTo) e del Prof. Romano Borchiellini (PoliTo).

 

Sperimentalmente è stato dimostrato il principio su cui si basa la tecnologia: la radiazione, della frequenza calcolata con il modello termodinamico sulla base delle dimensioni e della forma delle cellule di ogni specifica linea tumorale, colpisce la cellula cancerosa, che per difendersi deve spendere energia ed è costretta a rallentare la sua crescita. Il trattamento è una novità in campo oncologico perché a differenza delle cure tradizionali non è somministrato un farmaco che la cellula tumorale può eliminare. Invece, si costringe la cellula tumorale a sprecare le sue riserve energetiche e a fermarsi nella riproduzione. Studi promettenti ancora in corso suggeriscono che questo approccio potrebbe essere usato in combinazione con le chemioterapie classiche per potenziarne l’efficacia e potrebbe diminuire la formazione di metastasi, proprio in virtù del maggiore consumo energetico imposto dal campo elettromagnetico. Fondamentale nel conseguimento dei risultati è stata la modellizzazione termofisica, per il suo ruolo previsionale del comportamento biofisico delle cellule tumorali.

 

In questo studio si pongono le basi scientifiche per una futura applicazione in vivo e in umano nell’ambito di una medicina personalizzata e mirata a colpire solo le cellule tumorali. Questo progetto di ricerca sta cercando di ottenere ulteriori supporti finanziari per arrivare nel più breve tempo possibile all’applicazione clinica.

Data di pubblicazione del comunicato: 
Giovedì, 20 Giugno, 2019

Gli studenti dell’Università di Torino restaurano il murale dedicato alle vittime del rogo alla Thyssen

Ha preso il via il cantiere didattico che vede gli studenti del Corso di Laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Torino impegnati nell’intervento di restauro del murale di Corso Valdocco, dedicato alle vittime della tragedia avvenuta nel 2007 alle acciaierie Thyssen di Torino.

 

“L’iniziativa - spiega Dominique Scalarone, docente di Materiali per la Conservazione ed il Restauro presso l’Università di Torino - si inserisce fra le attività promosse dal progetto CAPuS - Conservation of Art in Public Spaces, un progetto internazionale finanziato nell’ambito del programma Erasmus+ Alleanze per la Conoscenza, che intende favorire la collaborazione tra mondo accademico, aziende e istituzioni attraverso lo sviluppo di percorsi formativi innovativi e attività di ricerca di interesse comune. In particolare, il progetto si pone il duplice obiettivo di definire delle linee guida per la stesura di un protocollo conservativo per l’arte pubblica e di realizzare un modulo formativo specifico sulla conservazione dell’arte urbana da erogare nei corsi di studio offerti dalle università e accademie partner di progetto”.

 

Nei mesi scorsi i ricercatori dell’Università di Torino, che è capofila del progetto CAPuS, insieme al personale del Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, hanno effettuato circa 130 sopraluoghi a opere di arte urbana presenti nella città di Torino e hanno poi selezionato i 13 casi studio su cui verteranno le attività progettuali. Finora i ricercatori hanno condotto un’accurata campagna diagnostica per identificare e caratterizzare con analisi scientifiche non invasive o micro-invasive i materiali costituenti le opere e i loro problemi di degrado. Tra le opere selezionate emerge per qualità, importanza e impatto sociale il murale di Corso Valdocco.  Il drammatico incidente occorso alla Thyssen di Torino turbò profondamente l’opinione pubblica, non solo in città, ma in tutta Italia. Proprio in considerazione della popolarità dell’opera e del suo significato per la cittadinanza il Comune stesso ha manifestato con fermezza l’intenzione di voler conservare il murale.

 

Il murale venne realizzato nel 2008 da numerosi writers torinesi, in collaborazione con l’associazione dei parenti delle vittime e con il Comune di Torino. Ora, a distanza di 11 anni, l’opera comincia a manifestare problemi conservativi e di degrado dovuti all’esposizione in esterno. Ecco perché, fra le tante opere di arte urbana presenti in città, è stata scelta proprio questa per realizzare un cantiere pilota in cui coinvolgere attivamente gli studenti nelle attività di progettazione e realizzazione dell’intervento conservativo.

 

Gli studenti hanno aderito con grande entusiasmo all’iniziativa e, sotto la direzione del Centro Conservazione e Restauro “La venaria Reale”, saranno al lavoro fino al 24 giugno, per poi riprendere le attività in occasione di un secondo cantiere didattico, nell’estate del prossimo anno.

 

Foto in allegato.

 

Data di pubblicazione del comunicato: 
Mercoledì, 19 Giugno, 2019

Unito tra le università migliori d’Italia secondo il Ranking QS - Guadagnate 30 posizioni in un anno

Migliora la posizione dell’Università di Torino, secondo il QS World University Rankings, una delle più note e prestigiose classifiche universitarie a livello internazionale. Unito infatti è risalita di 30 posizioni nella classifica generale rispetto all’edizione precedente e si colloca nella fascia 541-55015° in Italia.

 

L’Università di Torino inoltre raggiunge ottimi risultati nel Graduate Employability Rankings, indicatore che valuta gli atenei in base ai dati sull’occupazione dei suoi laureati, e si classifica nella fascia 201-250 a livello globale e al 8° posto in Italia. Diversi i fattori considerati, tra cui la reputazione dell’Ateneo presso le aziende e le relazioni intraprese, il successo dei laureati e la loro attrattività nel mondo del lavoro.

 

Per quanto invece riguarda le classifiche disciplinari (subject ranking) del 2019, Unito è risultato Ateneo di eccellenza in diversi ambiti, posizionandosi al 177° posto mondiale nella macro area Life Sciences and Medicine, al 223° posto nella macro area Natural Sciences, al 297° posto nella macro area Art and Humanities, al 331° posto nella macro area Social Sciences and Management e al 384° posto nella macro area Engineering and Technology.

Data di pubblicazione del comunicato: 
Mercoledì, 19 Giugno, 2019

Donate tre poltrone per tracciati cardio-tocografici per celebrare il primo anno di operatività del nuovo reparto maternità

Si è concluso con un service a favore della Fondazione Medicina a Misura di Donna il mandato della dott.ssa Antonietta Fenoglio, già Magistrato torinese, come prima Governatrice Donna del Distretto Rotary 2031, sodalizio internazionale che nell’area - tra Piemonte e Valle d’Aosta - annovera 2278 soci, delle più diverse professioni, organizzati in 53 Club.

 

Oggi, martedì 18 giugno, alle ore 11.30, presso l’Aula Magna Dellepiane dell’Ospedale S. Anna (Via Ventimiglia 3, Torino) è stata presentata la donazione di tre poltrone/lettini per tracciati cardio-tocografici (investimento di oltre 19.000 euro) per celebrare il primo anno di operatività del nuovo Reparto Maternità collocato al terzo piano dell’Ospedale Sant’Anna, lato Via Ventimiglia - Via Baiardi.

 

Si inaugurava infatti l’8 giugno 2018 il nuovo reparto all’avanguardia per la maternità nell’ospedale Sant’Anna di Torino, tra i più grandi d’Europa per la ginecologia e l’ostetricia, con circa 7000 parti l’anno da genitori provenienti da quasi 90 Paesi. Il progetto dell’area - che si estende per 1750 metri quadrati e dispone di 35 posti letto15 camere doppie e5 singole - è nato in collaborazione fra la Città della Salute e la Fondazione Medicina a Misura di Donna, con il contributo della Compagnia di San Paolo e il concorso di imprese e di cittadini. Il reparto è luminoso, condizionato, accoglie opere d’arte e performance musicali, dispone di postazioni per la lettura e comode sale di attesa per le famiglie. Il concetto cardine su cui si è sviluppato il progetto è l’approccio bio-psico-sociale alla cura, considerando il contributo che i luoghi e il senso di armonia possono dare al ben-essere individuale e collettivo.

 

“Il reparto è attualmente in piena attività, tuttavia sono ancora necessarie alcune migliorie per rendere l’ambiente sempre più funzionale, sicuro e confortevole. In particolare, molte pazienti ricoverate nel reparto vivono condizioni cliniche di alto rischio ostetrico, sia materno che fetale e pertanto necessitano di attenzioni specifiche che garantiscano una assistenza clinica ai massimi livelli unitamente a sicurezza e comfort durante le attività diagnostiche e terapeutiche cui devono essere sottoposte più volte al giorno”, afferma la Prof.ssa Chiara Benedetto, Direttrice della Struttura Complessa Universitaria di Ginecologia e Ostetricia 1 e Presidente della Fondazione Medicina a Misura di Donna, ente che celebra i suoi primi dieci anni di attività a favore della Salute della Donna. “Il tracciato cardiotocografico è un esame indispensabile per il monitoraggio del benessere fetale, cui le gravide a rischio si sottopongono più volte al giorno per una durata complessiva di circa due ore. La posizione migliore per l’esecuzione dell’esame è quella semi-seduta, che consente una corretta registrazione del tracciato e un adeguato comfort. Le poltrone idonee devono però poter essere rapidamente trasformate in letto nel caso la paziente debba essere sottoposta a manovre assistenziali urgenti”.

 

“Il Rotary ha seguito fin dagli esordi l’operato di questo Ente, nato dalla società civile per operare a fianco delle istituzioni, per rendere gli ospedali sempre più rispondenti ai desideri di pazienti, famiglie e operatori, per promuovere benessere nella collettività. È emozionante percorrere l’intero blocco ospedaliero così rinnovato in dieci anni e leggere tutte le targhe di ringraziamento ai diversi nostri Club così come anche quest’ultima che viene realizzata grazie ai generosi contributi di 45 Rotary Club in occasione delle mie visite. Proprio la capacità di ascolto, di progettazione, di realizzazione di coinvolgimento dei diversi attori pubblici e privati e della comunità per il bene comune, valori che sono essenza del nostro sodalizio, ci portano a questa nuova collaborazione, a fianco di una eccellenza scientifica riconosciuta internazionalmente”, conclude la Governatrice Antonietta Fenoglio.

 

Data di pubblicazione del comunicato: 
Martedì, 18 Giugno, 2019

Nasce a Torino il primo Centro di simulazione medica avanzata per la didattica universitaria

Oggi lunedì 17 giugno è stato inaugurato in presenza delle massime Autorità Accademiche, Sanitarie e Cittadine il primo Centro di Simulazione Medica Avanzata presso la ex Palazzina Odontoiatria, sede della Scuola di Medicina, Università di Torino e AOU Città Salute e Scienza.

 

Il Centro, realizzato con il contributo della Compagnia San Paolo, è collocato in uno spazio di circa 200mq ed è dotato dei più aggiornati high fidelity mannequin/models, dei più innovativi sistemi multimediali di videocamere ambientali e di sistemi audio per la simulazione medica di eccellenza per l’esercizio di pratiche diagnostiche e terapeutiche in grado di rendere la simulazione sempre più realistica e vicina ai quotidiani scenari.

 

Comprende 2 aule plenarie e di simulazione avanzata, 2 aule “Clinical Skill” equipaggiate con attrezzatura all’avanguardia per esercitazioni con trainer specifici, una sala regia, provvista di vetri unidirezionali che garantisce la visione degli istruttori nelle sale di simulazione, oscurando la visione della stessa sala agli studenti e ai tutori. 

 

Il nuovo centro, sostenuto dall’Ateneo insieme alla Città della Salute e Compagnia di San Paolo conferma il percorso di didattica innovativa intrapreso per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia, Lauree Sanitarie e per le Scuole di Specializzazione dell’Università di Torino.

 

Gli studenti potranno acquisire abilità pratiche e comunicative, garantendo il diritto del malato alla riservatezza. Si soddisfa così la necessità di apprendere un ampio numero di patologie in ambienti clinici diversi e in situazioni realistiche per la soluzione dei più diversi problemi permettendo di sviluppare la capacità di prendere decisioni. Attraverso i simulatori, gli studenti apprendono facilmente e senza rischi le manovre finalizzate a permettere l’esecuzione di atti medici o chirurgici-infermieristici, secondo linee guida internazionali. Attività che non si sostituisce il contatto diretto al letto del paziente, ma fornisce la preparazione pratica propedeutica che rende il tirocinio clinico molto più efficace e istruttivo.

 

“Un centro di simulazione medica” ha dichiarato Franco Veglio Responsabile del Centro “è un luogo dove è possibile, come una palestra, imparare tutta la semeiotica fisica e tecnologica per quanto riguarda l’esame obiettivo del paziente. E’ dedicato alla preparazione degli studenti di medicina, delle scuole sanitarie e degli specializzandi. Qui si possono acquisire tutte le tecniche invasive e non invasive, su manichino, creando degli scenari realistici di malattie e patologie”.

Data di pubblicazione del comunicato: 
Lunedì, 17 Giugno, 2019

L’appello dei ricercatori ai politici europei per combattere le malattie della fauna selvatica

Il network di studiosi: “Maggiori attenzioni alle evidenze scientifiche”

In seguito ai primi risultati ottenuti da uno studio dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) sulla gestione delle malattie della fauna selvatica da parte dei Paesi europei, l’ENETWILD, il network di ricercatori di cui fa parte anche l’Università degli Studi di Torino con il gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Ezio Ferroglio, ha lanciato oggi un appello sulle pagine di Science, una delle riviste più importanti in ambito scientifico.

 

Nell’articolo, dal titolo Science-based wildlife disease response, gli studiosi si rivolgono a istituzioni e governi europei, chiedendo di adottare misure di controllo delle malattie degli animali selvatici riservando maggiori attenzioni alle conoscenze scientifiche, auspicando anche un maggior coordinamento a livello europeo per un miglior impiego delle risorse disponibili.

 

“Se il dover gestire le malattie negli animali domestici è difficile e dispendioso – afferma il Prof. Ferroglio – farlo nelle specie selvatiche rappresenta una sfida enorme che si può affrontare solo con una profonda conoscenza del sistema ecologico nel suo complesso e della human dimension. Spesso le azioni intraprese dai governi si dimostrano inadatte proprio perché non sono guidate da evidenze scientifiche”.

 

“La Polonia, – si legge nell’articolo – nonostante l’opposizione degli esperti, ha fortemente incrementato l’abbattimento dei cinghiali per minimizzare la diffusione della Peste Suina Africana e il rischio di contagio dei maiali domestici. Nel frattempo, la Danimarca sta costruendo un muro di recinzione lungo 70 km per impedire ai cinghiali l’accesso sul proprio territorio. La recinzione distruggerà il loro habitat naturale e, tuttavia, non impedirà al virus di propagarsi, cosa che accade attraverso il trasporto di prodotti alimentari e di abbigliamento derivanti dai suini, oppure attraverso oggetti infetti, come ad esempio vestiti”.

 

L’appello è stato pubblicato in seguito a uno studio condotto per due anni dai ricercatori dell’ENETWILD, impegnati in un progetto della durata di sei anni (dal 2017 al 2023).

Data di pubblicazione del comunicato: 
Martedì, 11 Giugno, 2019

UniTO e Polizia Postale contro i crimini informatici - Siglata intesa

Oggi lunedì 10 giugno 2019 presso la Questura di Torino alla presenza del Questore Dott. Giuseppe De Matteis e del Rettore dell’Università degli Studi di Torino Prof. Gianmaria Ajani, è stato firmato dalla Dott.ssa Fabiola Silvestri, Dirigente del Comparto di Polizia Postale e delle Comunicazioni “Piemonte e Valle d’Aosta” e dall’Ing. Angelo Saccà, Direttore dei Sistemi Informativi, Portale, E-Learning dell’ Università degli Studi di Torino un protocollo d’Intesa tra Università Torino e il Compartimento della Polizia Postale e delle Comunicazioni “Piemonte e Valle d’Aosta”.

 

L’intesa consentirà di adottare procedure di intervento e di scambio di informazioni utili a prevenire efficacemente i crimini informatici, l’indebita sottrazione di informazioni o qualsiasi ulteriore attività illecita conseguenti al tentativo di attacco informatico con finalità di interruzione dei servizi di pubblica utilità. Il protocollo prevede altresì attività formative congiunte sui sistemi e sulle tecnologie idonee al contrasto dei crimini informatici.

 

La Polizia di Stato svolge già da tempo, tramite il C.N.A.I.P.I.C. (Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche) del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma, un’efficace azione di raccordo operativo con gli uffici territoriali di competenza poiché la tutela delle infrastrutture critiche informatiche è diventata un obiettivo primario per la prevenzione e repressione dei crimini informatici di matrice comune, organizzata e terroristica.

 

Data di pubblicazione del comunicato: 
Lunedì, 10 Giugno, 2019

Scoperte nell’ipotalamo le tracce della memoria - Lo studio pubblicato su Neuron scalfisce il dogma che colloca principalmente nell’ippocampo la formazione dei ricordi

È possibile attivare o bloccare l’espressione della paura controllando selettivamente i neuroni ipotalamici che producono ossitocina. La scoperta di un team di ricerca europeo, rappresentato in Italia dal NICO – Università di Torino.

Rappresentazioni di memoria emotiva, o engrammi (cioè tracce di memoria immagazzinate nel cervello) come la paura, sono fondamentali per la sopravvivenza: consentono infatti sia agli animali che all’uomo di percepire, valutare e rispondere alle situazioni pericolose in modo appropriato.

 

È opinione corrente che queste tracce di memoria si formino e si preservino in nuclei cerebrali superiori, mentre oggi prende forma l’ipotesi che nella formazione della memoria siano coinvolte anche strutture ‘antiche’ e altamente conservate nell’evoluzione del cervello, come l’ipotalamo. Lo dimostra lo studio pubblicato su Neuron da un team di ricerca internazionale (che riunisce Spagna, Germania, Francia e Italia) e interdisciplinare guidato dal Prof. Mazahir T. Hasan, membro della fondazione scientifica basca Ikerbasque, e a cui ha partecipato tra gli altri Ilaria Bertocchiricercatrice del NICONeuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi – Università di Torino.

 

Questa scoperta può rappresentare una svolta nelle neuroscienze: implica infatti uno scostamento dal dogma principale che sostiene come la memoria associata a un contesto si formi principalmente nell’ippocampo, per essere poi ‘trasferita’ e immagazzinata nella corteccia. Una visione che sottovaluta l’importanza di altre strutture cerebrali più antiche dal punto di vista evolutivo, come l’ipotalamo, anch’esso capace di riorganizzare in modo dinamico i propri circuiti per consentire la formazione e l’immagazzinamento della memoria.

 

La comprensione anatomica e funzionale dei circuiti che sottendono la memoria della paura favorisce lo sviluppo e l’utilizzo di strategie innovative per trattare disordini psichiatrici in continuo aumento nella società odierna, come l’ansia generalizzata e il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), in cui la paura si trasforma da grande risorsa per la sopravvivenza a fenomeno patologico.

 

La Metodologia dello studio

Grazie a una nuova metodologia genetica, i ricercatori hanno potuto evidenziare e manipolare in modo selettivo i neuroni ipotalamici che producono ossitocina - un neuropeptide cruciale nel controllo delle emozioni e di svariate funzioni fisiologiche - e che vengono reclutati durante l’apprendimento, la formazione e il richiamo della memoria della paura associata al contesto.
Queste cellule contattano il nucleo dell’amigdala, che ha un ruolo chiave nell’espressione della paura. Opportunamente marcate, sono state rese capaci di esprimere proteine in grado di attivare l’attività neuronale se stimolate con la luce attraverso fibre ottiche (optogenetica) o di reprimerne l’attività se innescate da particolari sostanze chimiche di origine sintetica (chemogenetica).

 

In particolare si è osservato come, in ratti che associano correttamente una memoria negativa a un particolare contesto - e che quindi reagiscono con immobilità o ‘freezing’ (la tipica risposta alla paura di quando ci si trova in un ambiente potenzialmente pericoloso dal quale è impossibile scappare) - l’attivazione dei neuroni ipotalamici a ossitocina individuati in precedenza dagli sperimentatori induce l’animale a riprendere a muoversi normalmente esplorando l’ambiente.

 

In altre parole, negli animali sperimentali è stato possibile bloccare l’espressione della paura durante tutto il periodo in cui i neuroni etichettati sono attivati, mentre l’immobilità riprende appena la fotostimolazione viene interrotta. Effettuando la manipolazione opposta si è scoperto inoltre che lo stesso circuito è necessario per favorire un processo noto come ‘estinzione’ della paura, fondamentale per la flessibilità cognitiva.

 

Neuron, 29 May 2019

A Fear Memory Engram and its Plasticity in the Hypothalamic Oxytocin System.

 

Hasan MT (1), Althammer F (2), Silva da Gouveia M (2), Goyon S (3), Eliava M (2), Lefevre A (2), Kerspern D (3), Schimmer J (2), Raftogianni A (2), Wahis J (3), Knobloch‐Bollmann HS (2), Tang Y (2), Liu X (2), Jain A (2), Chavant V (3), Goumon Y (3), Weislogel JM (4), Hurlemann R (5), Herpertz SC (6), Pitzer C7, Darbon P (3), Dogbevia GK (8), Bertocchi I (9), Larkum ME (10), Sprengel R (9), Bading H (4), Charlet A (11), Grinevich V (12).

 

(1) Laboratory of Memory Circuits, Achucarro Basque Center for Neuroscience, Science Park of the UPV/EHU, Sede Building, Barrio Sarriena, 48940 Leioa, Spain; Ikerbasque‐Basque Foundation for Science, 48013 Bilbao, Spain; Neurocure, Charité‐Universitätsmedizin, Virchowweg 6, 10117 Berlin, Germany; Max Planck Institute for Medical Research, Jahnstrasse 29, 69120 Heidelberg, Germany. Electronic address: mazahir.t.hasan@gmail.com.

(2) Schaller Research Group on Neuropeptides, German Cancer Research Center, Im Neuenheimer Feld 307, 69120 Heidelberg, Germany.

(3) Centre National de la Recherche Scientifique and University of Strasbourg, Institute of Cellular and Integrative Neurosciences, 8 Allée du Général Rouvillois, 67000 Strasbourg, France.

(4) Department of Neurobiology, Heidelberg University, Im Neuenheimer Feld 364, 69120 Heidelberg, Germany.

(5) Department of Psychiatry and Division of Medical Psychology, University of Bonn Medical Center, Sigmund‐Freud‐Strasse 25, 53105 Bonn, Germany.

(6) Department of General Psychiatry, Center of Psychosocial Medicine, Heidelberg University, Voßstraße 4, 69115 Heidelberg, Germany.

(7) Interdisciplinary Neurobehavioral Core (INBC), Heidelberg University, Im Neuenheimer Feld 515, 69120 Heidelberg, Germany.

(8) Max Planck Institute for Medical Research, Jahnstrasse 29, 69120 Heidelberg, Germany.

(9) University of Torino, Department of Neuroscience Rita Levi Montalcini and Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO), Orbassano, 10043, Torino, Italy.

(10) Neurocure, Charité‐Universitätsmedizin, Virchowweg 6, 10117 Berlin, Germany.

(11) Centre National de la Recherche Scientifique and University of Strasbourg, Institute of Cellular and Integrative Neurosciences, 8 Allée du Général Rouvillois, 67000 Strasbourg, France; University of Strasbourg Institute for Advanced Study (USIAS), Strasbourg, France. Electronic address: acharlet@unistra.fr.

(12) Schaller Research Group on Neuropeptides, German Cancer Research Center, Im Neuenheimer Feld 307, 69120 Heidelberg, Germany; Department of Neuropeptide Research for Psychiatry, Central Institute of Mental Health, Heidelberg University, J5, 68159 Mannheim, Germany. Electronic address: v.grinevich@dkfz‐heidelberg.de.

 

Data di pubblicazione del comunicato: 
Lunedì, 10 Giugno, 2019

Cresce l'occupazione dei laureati triennali dell'Università di Torino - Più del 78% trova lavoro ad un anno dalla laurea - Pubblicato il Rapporto 2019 AlmaLaurea

Il Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea presenta il XXI Rapporto sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei laureati al Convegno “Università e mercato del lavoro”, presso la Sapienza Università di Roma, giovedì 6 giugno 2019. Le Indagini hanno coinvolto 75 università ad oggi aderenti al Consorzio. Il Rapporto di AlmaLaurea sul Profilo dei laureati ha analizzato le performance formative di oltre 280 mila laureati nel 2018: in particolare, 160 mila laureati di primo livello, 82 mila dei percorsi magistrali biennali e 37 mila a ciclo unico; il Rapporto di AlmaLaurea sulla Condizione occupazionale dei laureati ha analizzato oltre 630 mila laureati di primo e secondo livello nel 2017, 2015 e 2013 contattati, rispettivamente, a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo.

Il presente Rapporto riguarda i laureati dell'Università di Torino; il confronto con i relativi dati nazionali è riportato nelle tabelle di sintesi.

 

IL PROFILO DEI LAUREATI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO

I laureati nel 2018 dell'Università di Torino coinvolti nel XXI Rapporto sul Profilo dei laureati sono 12.014. Si tratta di 6.587 di primo livello, 3.979 magistrali biennali e 1.397 a ciclo unico; i restanti sono laureati del corso pre-riforma in Scienze della Formazione primaria o in altri corsi pre-riforma.
Per esigenze di sintesi si riporta in questa sede l’analisi delle performance formative dei laureati di primo livello e dei laureati magistrali biennali, ma si rimanda alle tabelle di sintesi per i dati sui laureati magistrali a ciclo unico.

 

CITTADINANZA, PROVENIENZA E BACKGROUND FORMATIVO

La quota di laureati di cittadinanza estera è complessivamente pari al 3,7%: il 3,9% tra i triennali e il 3,7% tra i magistrali biennali.

Il 20,7% dei laureati proviene da fuori regione; in particolare è il 13,1% tra i triennali e il 37,2% tra i magistrali biennali.
È in possesso di un diploma di tipo liceale (classico, scientifico, linguistico, ...) il 79,0% dei laureati: è il 75,7% per il primo livello e l’80,1% per i magistrali biennali. Possiede un diploma tecnico il 16,8% dei laureati: è il 20,2% per il primo livello e il 15,1% per i magistrali biennali. Residuale la quota dei laureati con diploma professionale.

 

ETÀ, REGOLARITÀ E VOTO DI LAUREA: LA RIUSCITA NEGLI STUDI UNIVERSITARI

L’età media alla laurea è 25,5 anni per il complesso dei laureati, nello specifico di 24,4 anni per i laureati di primo livello e di 26,8 anni per i magistrali biennali. Un dato su cui incide il ritardo nell’iscrizione al percorso universitario: non tutti i diplomati, infatti, si immatricolano subito dopo aver ottenuto il titolo di scuola secondaria superiore.

Il 60,8% dei laureati termina l’università in corso: in particolare è il 59,6% tra i triennali e il 67,7% tra i magistrali biennali.

Il voto medio di laurea è 102,3 su 110: 98,6 per i laureati di primo livello e 107,6 per i magistrali biennali.

 

TIROCINI CURRICULARI, ESPERIENZE ALL’ESTERO E LAVORO DURANTE GLI STUDI

Il 60,5% dei laureati ha svolto tirocini riconosciuti dal proprio corso di studi: è il 62,8% tra i laureati di primo livello e il 59,8% tra i magistrali biennali (valore, quest’ultimo, che cresce all’80,2% considerando anche coloro che l’hanno svolto solo nel triennio)

Ha compiuto un’esperienza di studio all’estero riconosciuta dal corso di laurea (Erasmus in primo luogo) l’11,9% dei laureati: l’8,3% per i triennali e il 16,1% per magistrali biennali (quota, quest’ultima, che sale al 23,2% considerando anche coloro che le hanno compiute solo nel triennio).

Il 72,5% dei laureati ha svolto un’attività lavorativa durante gli studi universitari: è il 73,6% tra i laureati di primo livello e il 73,6% tra i magistrali biennali.

 

LA SODDISFAZIONE PER L’ESPERIENZA UNIVERSITARIA

Per analizzare la soddisfazione per l’esperienza universitaria appena conclusa si è scelto di prendere in considerazione l’opinione espressa dal complesso dei laureati in merito ad alcuni aspetti.
L’87,1% dei laureati è soddisfatto del rapporto con il corpo docente e l’83,5% ritiene il carico di studio adeguato alla durata del corso. In merito alle infrastrutture messe a disposizione dall’Ateneo, il 70,0% dei laureati che le ha utilizzate considera le auleadeguate. Più in generale, l’88,6% dei laureati si dichiara soddisfatto dell’esperienza universitaria nel suo complesso.

E quanti si iscriverebbero di nuovo all’Università? Il 71,3% dei laureati sceglierebbe nuovamente lo stesso corso e lo stesso Ateneo, mentre il 12,5% si riscriverebbe allo stesso Ateneo, ma cambiando corso.

 

LA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE
DEI LAUREATI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO

L’Indagine sulla Condizione occupazionale ha riguardato complessivamente 21.938 laureati dell'Università di Torino. I dati si concentrano sull’analisi delle performance dei laureati di primo e di secondo livello usciti nel 2017 e intervistati a un anno dal titolo e su quelle dei laureati di secondo livello usciti nel 2013 e intervistati dopo cinque anni.

 

LAVORO, I LAUREATI TRIENNALI A UN ANNO DALLA LAUREA

L’Indagine ha coinvolto 6.924 laureati triennali del 2017 contattati dopo un anno dal titolo (nel 2018).
Il 56,4% dei laureati di primo livello, dopo il conseguimento del titolo, decide di proseguire il percorso formativo con un corso di secondo livello (marginale la quota di chi si iscrive ad un corso triennale). Dopo un anno, il 55,5% risulta ancora iscritto. Per un’analisi più puntuale, pertanto, vengono di seguito fotografate le performance occupazionali dei laureati di primo livello che, dopo la conquista del titolo, hanno scelto di non proseguire gli studi universitari e di immettersi direttamente nel mercato del lavoro.

Isolando quindi i laureati triennali dell'Università di Torino che, dopo il titolo, non si sono mai iscritti a un corso di laurea (42,4%), è possibile indagare le loro performance occupazionali a un anno dal titolo.

A un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione (si considerano occupati, seguendo la definizione adottata dall’Istat, tutti coloro che sono impegnati in un’attività retribuita, di lavoro o di formazione) è del 78,2%, mentre quello didisoccupazione (calcolato sulle forze di lavoro, cioè su coloro che sono già inseriti o intenzionati a inserirsi nel mercato del lavoro) è pari all’11,5%.

Tra gli occupati, il 28,4% prosegue il lavoro iniziato prima della laurea, il 19,4% ha invece cambiato lavoro; il 52,1% ha iniziato a lavorare solo dopo il conseguimento del titolo.

Il 23,5% degli occupati può contare su un lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato, mentre il 38,7% su un lavoro non standard (in particolare su un contratto alle dipendenze a tempo determinato). Il 13,3% svolge un’attività autonoma (come libero professionista, lavoratore in proprio, imprenditore, ecc.).

 

Il lavoro part-time coinvolge il 29,7% degli occupati. La retribuzione è in media di 1.164 euro mensili netti.
Ma quanti fanno quello per cui hanno studiato? Si è presa in esame l’efficacia del titolo, che combina la richiesta della laurea per l’esercizio del lavoro svolto e l’utilizzo, nel lavoro, delle competenze apprese all’università. Il 55,7% gli occupati considera il titolomolto efficace efficace per il lavoro svolto. Più nel dettaglio, il 48,2% dichiara di utilizzare in misura elevata, nel proprio lavoro, le competenze acquisite all’università.

 

LAVORO, I LAUREATI DI SECONDO LIVELLO A UNO E CINQUE ANNI DALLA LAUREA

I laureati di secondo livello del 2017 contattati dopo un anno dal titolo sono 5.339 (di cui 3.863 magistrali biennali e 1.447 magistrali a ciclo unico), quelli del 2013 contattati a cinque anni sono 4.793 (di cui 3.426 magistrali biennali e 1.076 magistrali a ciclo unico).

 

A un anno

Tra i laureati di secondo livello del 2017 intervistati a un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione (si considerano occupati quanti sono impegnati in un’attività retribuita, di lavoro o di formazione) è pari al 73,4% (73,6% tra i magistrali biennali e 72,8% tra i magistrali a ciclo unico). Il tasso di disoccupazione, calcolato sulle forze di lavoro, è pari al 13,2% (14,9% tra i magistrali biennali e 8,5% tra i magistrali a ciclo unico).

Il 27,5% prosegue il lavoro iniziato prima della laurea, il 16,9% ha invece cambiato lavoro; il 55,6% ha iniziato a lavorare solo dopo il conseguimento del titolo. Tra i laureati magistrali biennali tali percentuali sono, rispettivamente, pari a 30,0%, 16,9% e 53,0%; tra i magistrali a ciclo unico sono pari a 18,9%, 16,3% e 64,7%.

Il 21,2% degli occupati può contare su un contratto alle dipendenze a tempo indeterminato mentre il 37,2% su un lavoro non standard (in particolare su un contratto alle dipendenze a tempo determinato). Il 10,6% svolge un’attività autonoma (come libero professionista, lavoratore in proprio, imprenditore, ecc.). Tra i magistrali biennali tali percentuali sono, rispettivamente, pari a 24,7%, 36,9% e 5,7%; tra i magistrali a ciclo unico sono pari a 10,2%, 36,2% e 26,8%.

Il lavoro part-time coinvolge il 24,8% degli occupati (24,1% tra i magistrali biennali e 27,7% tra i magistrali a ciclo unico). La retribuzione è in media di 1.236 euro mensili netti (1.219 euro per i magistrali biennali e 1.295 euro per i magistrali a ciclo unico).

Il 59,0% degli occupati ritiene la laurea conseguita molto efficace efficace per il lavoro che sta svolgendo (il 50,4% tra i magistrali biennali e l’85,2% tra i magistrali a ciclo unico); inoltre, il 50,6% dichiara di utilizzare in misura elevata, nel proprio lavoro, le competenze acquisite durante il percorso di studi (42,9% tra i magistrali biennali e 74,7% tra i magistrali a ciclo unico).

 

A cinque anni

Il tasso di occupazione dei laureati di secondo livello del 2013, intervistati a cinque anni dal conseguimento del titolo, è pari all’88,1% (86,9% per i magistrali biennali e 89,0% per i magistrali a ciclo unico)Il tasso di disoccupazione è pari al 4,5% (5,1% per i magistrali biennali e 3,6% per i magistrali a ciclo unico).

Gli occupati assunti con contratto a tempo indeterminato sono il 54,1%, mentre gli occupati che svolgono un lavoro non standard sono il 17,4%. Svolge un lavoro autonomo il 20,4%. Tra i magistrali

 

biennali tali percentuali sono, rispettivamente, pari a 55,5%, 19,2% e 16,8%; tra i magistrali a ciclo unico sono pari a 35,7%, 13,3% e 41,6%.

Il lavoro part-time coinvolge il 13,6% degli occupati (14,8% tra i magistrali biennali e 12,7% tra i magistrali a ciclo unico). Le retribuzioni arrivano in media a 1.485 euro mensili netti (1.477 per i magistrali biennali e 1.579 per i magistrali a ciclo unico). Il 64,9% degli occupati ritiene la laurea conseguita molto efficace efficace per il lavoro svolto (è il 57,1% tra i magistrali biennali e l’82,1% tra i magistrali a ciclo unico); il 55,3% dichiara di utilizzare in misura elevata, nel proprio lavoro, le competenze acquisite all’università (48,1% tra i magistrali biennali e 71,0% tra i magistrali a ciclo unico).

Ma dove vanno a lavorare? Il 69,2% dei laureati è inserito nel settore privato, mentre il 24,7% nel pubblico. La restante quota lavora nel non-profit 6,0%. L’ambito dei servizi assorbe l’82,6%, mentre l’industria accoglie il 14,9% degli occupati; l’1,6% lavora nel settore dell’agricoltura. 

 

Rapporto in allegato

Data di pubblicazione del comunicato: 
Giovedì, 6 Giugno, 2019

NOTA STAMPA. L’Università sulla petizione “Salviamo i macachi di Torino!”

Solidarietà al prof. Tamietto
Legalità e rispetto reciproco sono la base per un confronto sereno, anche se acceso, su questioni tecnicamente complesse e con delicati risvolti etici, come quelli della ricerca scientifica, per questa ragione opportunamente valutati da istituzioni a ciò deputate.

L’Università di Torino esprime la sua solidarietà al collega prof. Marco Tamietto per gli attacchi subiti, che vanno oltre una legittima manifestazione di dissenso e sono in parte basati su informazioni errate, già precisate dall’Ateneo nella nota qui di seguito riprodotta.

 

NOTA STAMPA 5 giugno 2019 - L'Università sulla petizione "Salviamo i macachi di Torino!"

Il progetto LIGHTUP - cui si riferisce la petizione pubblicata sul sito change.org - è stato approvato e finanziato dallo European Research Council, l'Ente di ricerca più prestigioso e rigoroso a livello europeo. Tutte le procedure e gli aspetti etici sono stati vagliati e autorizzati prima dal Comitato Etico dell'Unione Europea, poi dai comitati etici e dagli organismi per la tutela del benessere animale delle Università di Torino e Parma, e infine dal Ministero della Salute.

 

Al progetto è stato riconosciuto un valore “traslazionale”, ovvero ha una ricaduta clinica diretta per la salute umana. Il suo obiettivo ultimo è infatti di validare procedure riabilitative che permettano il recupero della vista a pazienti ciechi in seguito a una lesione al cervello.

 

L’Università di Torino precisa che prima di proporre la riabilitazione ai pazienti e in accordo alle normative internazionali sulla sperimentazione clinica, è però necessario che i meccanismi neurali alla base del recupero della vista siano studiati sull’animale, e le procedure riabilitative valutate rispetto alla loro efficacia e sicurezza. Non corrisponde al vero l’affermazione riportata dalla petizione pubblicata sul sito change.org per cui “lo studio verrà condotto contemporaneamente, e non dopo, anche su volontari umani”. In questa fase, lo studio su pazienti volontari si limita a caratterizzare gli effetti della lesione senza operare alcun intervento attivo. Tutti gli organismi di valutazione etica e scientifica che hanno esaminato il progetto hanno infatti confermato che per raggiungerne gli obiettivi clinici per la cura sull’Uomo, la sperimentazione animale è indispensabile. Gli stessi organismi indipendenti hanno anche convenuto che i macachi sono l’unica specie utilizzabile. A differenza di altre scimmie meno evolute, l’organizzazione cerebrale del loro sistema visivo è la più comparabile a quello umano, consentendo così di estendere i risultati e le applicazioni cliniche direttamente all'Uomo.

 

Contrariamente a quanto riportato nel testo della petizione e ripreso da alcune testate giornalistiche, gli animali non verranno resi ciechi. Sarà invece prodotta una macchia cieca, circoscritta ad una zona di pochi gradi del loro campo visivo e limitata ad un solo lato (destro o sinistro). Come hanno dimostrato numerosi studi precedenti, questa operazione ha un impatto minimo e l’animale resterà in grado di vedere e spostarsi normalmente nell'ambiente, alimentarsi ed interagire con i propri simili. Inoltre, il cervello non è un organo sensibile e non ha recettori per il dolore.

 

Quanto alla trasparenza, la normativa prevede che il Ministero renda pubblica la “sintesi non tecnica” dei progetti autorizzati. Già il Prof. Marco Tamietto ha reso pubblico il documento. Le norme prevedono un equilibrio tra il principio di trasparenza e la riservatezza necessaria per tutelare i profili di proprietà intellettuale riferiti agli studi in corso.

 

Infine, si tiene a precisare che nessuno dei filmati e delle immagini presentati negli articoli si riferiscono a sperimentazioni relative al progetto cui fa riferimento la petizione.

Data di pubblicazione del comunicato: 
Mercoledì, 5 Giugno, 2019
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